“[Im]perfetti” di Luigi Ballerini e “La storia di Marinella. Una bambina del Vajont” di Emanuela Da Ros presentati dal prof. Gian Paolo Marchi

Inserito da il Nov 8, 2017

Luigi Ballerini, [Im]perfetti, Milano, Il Castoro

Egidio Meneghetti, professore di farmacologia nell’università di Padova, e primo rettore dopo la Liberazione di quell’illustre Ateneo, in uno scritto del 1961 richiamava la profezia di Aldous Huxley secondo la quale, in un futuro non remoto, la trasmissione della vita sarebbe avvenuta secondo modalità particolari: da una parte un gruppo di femmine ovulatrici, destinate per sapiente selezione all’amore e alle attività estetiche e intellettuali, ma preservate dall’azione deformatrice della gravidanza; dall’altra, femmine robuste, destinate a fornire nidi a uova fecondate in sostituzione di madri che gravidanza sopportare non possono, o non vogliono: nel quadro di una società   nella quale, col denaro, tutto si possa chiedere a chi denaro non possiede. Unica regola: l’ossequio alla legge della domanda e dell’offerta.

Una simile logica può essere in qualche modo richiamata a proposito del libro di Luigi Ballerini intitolato [Im]perfetti. Siamo in un mondo del futuro, ma non poi così lontano da noi, dove gli esseri umani vengono costretti a compiere un itinerario che li porterà alla perfezione.

La modalità è il GST, Grande Spettacolo dei Talenti, in cui operano agenti speciali che hanno il compito di scovare gli eletti, e di validare e certificare i Perfetti.

Consigli per il successo: «Non scoprire mai il fianco con gli altri concorrenti, che lotteranno per fregarti, mostrati deciso, fai vedere grinta grinta grinta».

I figli dei perfetti sono concepiti in laboratorio con il migliore mix di geni genitoriali: ai feti verrà risparmiato il trauma del parto: tutto è pianificato per evitare una prolificazione approssimativa. L’Assistente alla nascita ammonisce che i bambini imperfetti non devono nascere, e se questo avviene contro il parere degli Addetti alla Conservazione, chi li accoglie dovrà farsi carico di ogni spesa: «voi li volete, voi li manterrete».

Tutto si regge sulla logica della competizione: ciascuna delle cinque squadre composte di tre Eccelsi ciascuna, lotterà per la vittoria, decretata dal pubblico con le sue preferenze.

Il meccanismo investe l’intero sistema, col quale si misurano Maat P, Adon P, Eira P, che manifestano incertezze, preoccupanti defaillances e inspiegabili malesseri. Contro Nefti, provocante ragazza sostenitrice della centralità della Causa che deve superare ogni considerazione individualistica, i protagonisti scoprono progressivamente la logica e la bellezza della solidarietà.

Horus P gestisce la prova decisiva, cui assiste un finto pubblico, legato alla logica della pubblicità: contro la logica della competizione, Adon P e Maat P si uniscono per salvare Eira P, che si trova in difficoltà, e tutti insieme scoprono la bellezza del firmamento. Eira P sa che Adon P si era fermato per lei, e i tre decidono di rimanere sempre uniti, mentre il sistema li vuole uno contro l’altro.

Alla fine, Adon P risolve ogni dubbio e si manifesta a Eira come un imperfetto. Anche Eira confessa di essersi rivolta a una clinica clandestina, rifiutando di autodenunciarsi alle Autorità Sanitarie.

Gli imperfetti sanno divertirsi e appassionarsi. Avere un DNA perfetto non è garanzia di felicità. Cos’è la felicità? La felicità ha a che fare con le persone, non si è mai felici da soli.

Tutti e tre si riconoscono nella nuova coscienza di sé, anche Maat P, che aspira a diventare musicista.

La fuga dei tre riesce, mentre i funzionari dell’Organizzazione decidono l’eliminazione dei Ribelli, che riescono a intrufolarsi nel sistema televisivo dei Perfetti, costringendo il Governatore a dichiararsi “decisamente imperfetto”.

Toccante il caso di Eira P, che, malata di leucemia, vuole poter avere delle persone che le stiano vicino e la aiutino, vuole sentirsi felice anche se malata e fragile. Non ha senso gareggiare tra uguali, proclama Adon P: «A noi non interessa spendere il tempo per essere contro qualcosa o contro qualcuno, né essere definiti dall’odio».

I tre si allontanano per incamminarsi verso un futuro libero, dove non c’è violenza, dove suonare il violino, dove essere ammalati e sperare di guarire senza essere soli.

 

Emanuela Da Ros, La storia di Marinella. Una bambina del Vajont, Milano, Feltrinelli.

Il libro è una denuncia pacata ma ferma della logica del profitto che non arretra di fronte a catastrofi scientificamente previste. Questo avviene nelle ultime pagine, nelle quali l’autrice presenta riflessioni ed emozioni suscitatate dalla visita al cimitero che accoglie le quasi duemila vittime: vittime non della natura, ma dell’insipienza umana e dell’avidità di chi aveva costruito una diga senza preoccuparsi del pericolo annunciato che una frana potesse precipitare nell’invaso, provocando quell’ondata che il 9 ottobre 1963 arrivò a cancellare i paesi di Erto e Casso, causando la morte di 1910 persone, tra cui 487 bambini

Nelle teche del cimitero di Fortogna (Longarone) si conservano alcuni oggetti appartenuti alle vittime: un orologio fermo alle 22,39 di quel 9 ottobre, una cornice senza foto, un quaderno: il quaderno di Marinella Callegari, nata il 12 sett. 1953.

Da questo oggetto prende l’avvio la narrazione, che procede con un’alternanza di vista da lontano, per così dire a volo d’uccello, e vista da vicino: il grande sistema delle dighe e i piccoli abitati, con pulman, treno, ufficio postale, strada d’Alemagna, poderi e pascoli.

La storia di Marinella inizia alle ore 7,05 di quel 9 ottobre: i soliti preparativi per la scuola, le ingenue schermaglie con Marco, il concitato intreccio ricordi: la prima comunione, la posa per la fotografia, il vestino con la gonna a balze, le scarpe nuove, il banchetto della festa. Un rilievo particolare assume l’incontro con Marco, rimasto orfano di padre morto in un incidente di lavoro, madre malata, affido al nonno solitario.

Non si tratta di un semplice idillio: l’amore può comportare una passione come quella della nonna, che mette al mondo una bambina (la mamma di Marinella) senza avere «una fede al dito», ma che viene sposata da un uomo che ammira la sua forza d’animo.

Le ore passano tra lezioni e ricreazione, durante la quale scoppia una rissa tra gli alunni, sedata dalla bidella Rosetta armata del suo spazzolone. Sullo sfondo la realtà della diga, le avvisaglie della tragedia annunciata da strani segnali, gli alberi sul monte Toc che sembrano piegarsi.

Anche il pomeriggio si apre con l’ansia che nasce dalla preoccupazione per la diga, che sembra prendersi gioco di tutto e di tutti. Marinella esce per incontrae Marco, si mette la collana di perle della mamma: «Le perle le illumineranno il viso e Marco noterà i suoi occhi azzurri anziché le gambe lunghe».

La collana di perle viene messa come collare a Zucchino, il bassotto che Pietro regala a Marinella. Il cagnolino è tramite dell’affetto che lega i due ragazzini (come non ricordare l’asino di compare Alfio accarezzato da Mena nei Malavoglia?).

La vicenda del cucciolo percorre le ultime pagine del racconto, in cui si esplicita con delicatezza il sentimento d’amore tra Marco e Marinella. L’inquietudine dell’animale che avverte i segni della catastrofe si associa alle fantasie di Marinella, che evoca scene piene di tenerezza e di affetto, troncate dalla valanga d’acqua che la seppellisce con i suoi sogni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *